In difesa della poesia. Percy Bysshe Shelley
- clessidrapoeticavi
- 21 mar 2021
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Scritto da Shelley nel 1821, un anno prima della morte, il breve saggio è considerato uno dei manifesti più importanti del Romanticismo.
Il pamphlet fu composto dal poeta inglese in risposta all’opera The Four Ages of Poetry, dello scrittore e amico Thomas Love Peacock, dove si intendeva dimostrare l’inutilità della poesia. Nella sua Difesa Shelley riafferma l’utilità della poesia quale filiazione dell’immaginazione, che, disgiunta ma non contrapposta alla ragione analitica e calcolatrice, è la facoltà mentale in grado di cogliere la sostanza e la somiglianza tra le cose.
La capacità della poesia, nata con il genere umano, di produrre piacere, è in stretta correlazione con l’attitudine precipua ad incarnare il dolore.
Dopo aver ripercorso le tappe dell’evoluzione dello spirito letterario e artistico dell’umanità, Shelley giunge infine a definire il nucleo etico del suo discorso, parlando dei suoi contemporanei, dove vede imperare i fautori dell’”utilità”, i “ragionatori” e i “meccanicisti”. “Mentre si preoccupano di ridurre e combinare la mano d’opera, il meccanicista e l’economista politico stiano attenti a che le loro scelte, non illuminate dai principi primi di esclusiva pertinenza dell’immaginazione, non finiscano per accentuare il divario tra opulenza e indigenza, così come è avvenuto nell’Inghilterra moderna.”
Nell’Inghilterra della prima rivoluzione industriale, duecento anni fa, un giovane poeta si fa portavoce, rivendicando il valore della poesia, del principio di solidarietà e di eticità, agli albori di quello sviluppo tecnologico in cui siamo tuttora immersi.
Potremmo farci carico, allora, grazie a Shelley, di molti interrogativi.
Siamo ancora in grado, nel presente globalizzato, di “difendere” la Poesia?
Da tempo sgretolato il piedistallo del divino, deluso dalle tragedie del secolo breve lo slancio verso le magnifiche sorti e progressive, quale può essere il valore di un autentico linguaggio poetico? Quale parola “ispirata” può ergersi etica, solidale e condivisibile facendosi strada tra miriadi di linguaggi globali, mediatici e invasivi?
E ancora. Come può a sua volta difenderci la Poesia? Può essere la nostra casa interiore, dove l’immaginazione custodisca il meglio di noi, per poterlo condividere in un circolo virtuoso dell’”inutile”?
Carla Combatti, 21 marzo 2021

La facoltà poetica esplica due funzioni: da una parte, essa crea nuovi materiali di conoscenza, di potere di piacere; dall'altra, infonde nella mente il desiderio di riprodurli ed armonizzarli secondo un ordine ed un ritmo che si possono chiamare il bello ed il bene.
Non c'è tempo più propizio al culto della poesia, che nei periodi in cui, per un eccesso della spinta egoistica, e della logica computazionale, l'accumulazione dei materiali della vita esteriore superi la capacità di assimilarli alle leggi interne della natura umana: quando il corpo è diventato troppo sordo alle sollecitazioni di ciò che lo anima.
La poesia è invero qualcosa di divino.
è, allo stesso tempo, il centro e la circonferenza della conoscenza; è ciò che comprende tutta la scienza, e ciò a cui tutta la scienza deve tendere.
è, allo stesso tempo, la radice ed il germoglio di tutti gli altri sistemi di pensiero; è ciò da cui tutto nasce, e che tutto adorna; ciò che, se inaridito nega frutto e seme, e priva al mondo brullo della linfa dei virgulti dell'albero della vita.
è la superficie perfetta e completa ed il germoglio di ogni cosa: sta come il colore e l'odore della rosa alla struttura degli elementi che la compongono; sta come la forma e lo splendore dell’eterna bellezza ai segreti dell’anatomia e del corrompimento fisico.
Cosa sarebbe la virtù, l'amore, l'amicizia, il patriottismo; quale sarebbe lo scenario di questo bell'universo che abitiamo; quali sarebbero le consolazioni al di qua della tomba; e quali le aspirazioni al di là di essa; se la poesia non si levasse a portarci la luce ed il fuoco da quelle eterne regioni dove la facoltà computazionale delle ali di gufo non osa mai spiccare il volo?
La poesia non è come il ragionare, una facoltà, cioè, da attivare mediante un atto di volontà.
Un uomo non può dire: “Voglio comporre poesia”.
Nemmeno il più grande poeta lo può dire, perché la mente che crea è come un carbone che si sta per spegnere, e che un'influenza invisibile, come il vento mutevole, avviva di fugace bagliore.
è un potere che sorge dal di dentro, come il colore di un fiore, che sbiadisce e che è sempre cangiante, e la nostra parte cosciente non può prevederne l'avvicinamento o l’allontanamento.
Potesse quest’influenza preservare l'originaria forza e purezza, sarebbe impossibile prevedere la grandezza dei risultati.
Ma nello stesso momento in cui si comincia a comporre, l'ispirazione sta già scemando, e la più sublime poesia che sia stata mai comunicata al mondo e probabilmente una labile ombra delle originarie intuizioni del poeta
La poesia fissa i momenti più belli e più lieti delle menti più belle e gioiose.
Si annuncia con la presenza evanescente di pensieri sensazioni, che associate a volo a volte a un luogo o una persona, a volte generate solo dalla nostra mente, giungono sempre inattese, per allontanarsi senza che le abbiamo congedate: indicibilmente dolci, e nobilitanti, al punto che anche il desiderio ed il rimpianto che lasciano sono intrisi di piacere, poiché essa partecipa della natura del suo oggetto.
è come se nella nostra natura più propria penetrasse una natura più divina; ma i suoi passi sono come quelli di un vento sul mare, che l'arrivo della bonaccia cancella, ma di cui rimangono solo le orme, come sabbia raggrinzita sul fondo.
I poeti sono i sacerdoti di un’ispirazione misteriosa; gli specchi delle ombre gigantesche che il futuro proietta sul presente; le parole che esprimono quello che non intendono; le trombe che chiamano a battaglia, e che non sentono quello che ispirano, la causa che muove senza essere mossa.
I poeti sono i misconosciuti legislatori del mondo.
L'edizione del saggio di Shelley da cui sono tratti i brani è Mimesis Edizioni, 2013.
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