HAIKU
- TaBa
- 18 mag 2017
- Tempo di lettura: 7 min
Nato in Giappone nel XVII secolo questo componimento poetico è composto da tre versi per complessive diciassette MORE, non sillabe ricordate o la professoressa vi schiaffeggia le mani cari scrittori e lettori.
SCHEMA: 5/7/5.
DEFINIZIONE:
Breve componimento a carattere lirico, composto da 17 sillabe disposte in tre gruppi rispettivamente di 5, 7 e 5, tipico della tradizione poetica giapponese.
Gli stati d'animo:
Nello haiku il poeta fissa uno stato d'animo attraverso le immagini della natura che lo circonda.
I principali:
Yūgen 幽玄: universo colmo di misteriosa unità.
Wabi 侘寂: “stupore” per la semplicità delle cose.
Karumi (軽み, “leggerezza”): bellezza poetica, semplice, libera da preconcetti.
Mono no aware 物の哀れ: “nostalgia/rimpianto” comprensione della mutevolezza senza sofferenza.
Shiori (しおり, “delicatezza”): oltre la mera parola, compassione ed “empatia”.
Sabi 寂: "velo" che avvolge le cose esposte allo scorrere inesorabile del tempo.
Qualche nota storica e tecnica sull’Haiku:
Innanzitutto ciò che appare: la forma breve, che ci affascina e al contempo ci fa stare – per così dire – leggeri.
Accanto all’epigramma è un genere poetico che presenta la forma più concisa che esista:
Tre versi di 5, 7, 5 sillabe – 17 sillabe in tutto, così le “more” giapponesi vengono rese nella traslitterazione italiana.
L’haiku – in realtà – è la contrazione, o meglio, l’incipit di qualcosa di più ampio.
In origine l’haiku non era affatto un componimento a sé stante, ma la parte iniziale di un poema, detto haikai.
Questo genere si diffuse nel sedicesimo secolo e consisteva in un poema di 36, 50 o 100 versi composti da un gruppo di poeti che si riunivano in un ambiente particolare: un pavimento a tatami (stuoia di paglia finemente intrecciata), porte scorrevoli, quasi totale assenza di mobilio.
Il poeta di volta in volta designato, detto “maestro” iniziava a comporre un “hokku” (letteralmente “verso d’esordio) un verso suddiviso in tre righe di 5-7-5 sillabe, con tema indipendente; il secondo poeta aggiungeva altri due versi, due settenari.
Si continuava così, con regolarità simmetrica, fino alla fine del poema.
Il primo – e considerato il sommo autore di haiku (detto haijin) fu Matsuo Bashō, che visse tra il 1644-1694; grande viaggiatore (dei suoi viaggi in tutto il Giappone, il cui scopo principale era la conoscenza della natura, ci rimane un diario in forma di haiku).
Secondo le regole da lui dettate, uno hokku doveva attenersi a due condizioni fondamentali:
1) Presenza di un kigo – vale a dire un riferimento ad una delle quattro stagioni
2) Quantità sillabica di 17 – secondo la scansione ritmica: quinario – settenario – quinario
Soffermiamoci un attimo sui Kigo: i kigo – vale a dire i temi convenzionali legati a ciascuna stagione dell’anno.
Sono molti e di essi esiste anche un nutrito repertorio - l’Antologia delle Quattro Stagioni – : traggono spunto dalla natura, da elementi del paesaggio, dalle feste religiose e danze popolari tradizionali, da alcuni animali tipici delle varie stagioni , da alcune situazioni metereologiche particolari quali la nebbia primaverile.
Così, ad esempio, per la Primavera abbiamo i ciliegi e i fiori di ciliegio in tutte le loro declinazioni - la rana – gli aquiloni – la Festa delle Bambine che cade il 3 marzo – la neve che si scioglie.
Per l’Estate la Festa dei Defunti – che in Giappone cade nei mesi estivi – la peonia –il salice – la cicala –
Per l’Autunno la luna, l’airone, il melograno, la pera, l’acero le oche in volo –
Per l’Inverno le foglie cadute – la neve fresca – il corvo – l’ostrica.
Torniamo alle direttive del maestro Bashō:
Seguire la Natura – Tornare alla Natura – ma non in forma antropomorfizzata – al contrario, secondo il pensiero buddista, “vivente” di per se stessa – dove anche la pietra –– possiede il suo “spiritello”- secondo una concezione animistica del cosmo.
E qui ci riallacciamo a quella “assenza del soggetto”, dell’ego del poeta – rilevata da molti studiosi occidentali che ci sono approssimati alla letteratura e alla poesia giapponese, quali il semiologo francese Roland Barthes, il poeta e filologo francese Yves Bonnefoy, il nostro filosofo e scrittore Giangiorgio Pasqualotto.
Mi fa piacere qui riportare concisamente alcuni concetti del suo intervento sull’Haiku tenutosi di recente nell’ambito del Poetry Vicenza 2017.
L’Haiku è una rincorsa verso la leggerezza – è portatore della tendenza all’eliminazione del superfluo – vuol farsi istantanea di un evento e trasmetterne l’emozione nel più breve numero di versi possibile. Nel far ciò aderisce ai principi del buddismo zen che sono il Mujo – principio dell’impermanenza – e del Muga – il “non sé- la non identità”.
- Per noi occidentali antropocentrici è estremamente difficile accogliere questa concezione cosmocentrica dell’esistenza.
A proposito di bellezza – riprendo quanto espone Irene Iarocci nella sua prefazione ai Cento Haiku- la connotazione di Bellezza che emerge dai testi antichi (il più famoso e antico è il Manyōschū, ovvero Raccolta di Diecimila foglie, VIII secolo) non si riferisce solo alla Perfezione, ma è presente anche nelle cose imperfette, con qualche difetto.
Due importanti caratteristiche che l’haiku deve avere – ma si tratta di categorie estetiche proprie a tutta l’arte giapponese - sono le seguenti:
Sabi :tono di quasi lirica malinconia – un piacere trattenuto – il piacere del vissuto – il saper cogliere il fascino delle piccole cose osservare ed esprimere – in poesia in questo caso - la delicatezza, la quiete, o anche la pacata tristezza delle cose, eventi, esseri e cose inanimate. E’ anche detto il “tono”, il colore dell’haiku. Tradotto in inglese dagli Yamatologi americani con il termine lone-liness (lirica malinconia).
Wabi: Sta ad indicare una ricchezza spirituale opposta all’atteggiamento materialistico, un rifuggire dall’ostentazione e dall’appariscente, l’inclinazione alla modestia e alle cose semplici e trovò compiuta realizzazione esteriore nella Cerimonia del Tè (Sadō).
Per quanto riguarda i rapporti con l’Occidente:
Grande fortuna ebbe questo genere in ambito anglosassone –già nella seconda metà del XIX secolo, con il diffondersi del giapponismo come influsso iconologico e in seguito, appunto, letterario.
Molti i poeti che sperimentarono questo genere, ricordiamo fra tutti Ezra Pound.
Influenzò anche la poesia francese, in particolare Apollinaire.
Per la traduzione dell’ haiku moderno ricordiamo il più autorevole studioso orientalista R.H. Blyth – inglese - i cui studi risalgono al 1949.
Ricordiamo poi – sorta nel Novecento – la Società di Haiku d’America – The Haiku Antologhy.
In Italia nel 1987 è stata fondata l’Associazione Italiana Amici dell’Haiku da Giuliano Manacorda e l’Associazione Cascina Macondo, che indice da parecchi anni il Concorso Internazionale Poesia Haiku in lingua italiana, quest’anno giunto alla 15^ edizione.
TANKA
Alle spalle dell’haiku, dal punto di vista storico-letterario, sta il tanka, che ha rappresentato, per moltissimo tempo in Giappone, l’eccellenza della forma lirica, tanto da essere battezzato agli albori “waka”, vale a dire semplicemente “ poesia giapponese”. Il termine tanka- introdotto in tempi moderni – significa invece “poesia breve”.
L’origine del tanka è molto antica (VIII-XIX secolo d. C.). Il principale documento letterario cui far riferimento per il tanka è il Man’yoshu, ovvero la “Raccolta di diecimila foglie”, vastissima antologia poetica realizzata nel corso dell’VIII secolo e, successivamente altre 21 antologie allestite per ordine imperiale.
Nel corso dei secoli, la forma metrica di questo componimento, data da 5 versi privi di rime: quinario – settenario – quinario – settenario – settenario e suddivisa sintatticamente in due parti - la superiore di tre versi e quella inferiore di due versi - si è imposta quale flessibile strumento atto ad accogliere l’agile resa delle immagini vivide e fugaci, il piacere dell’evocazione istantanea, l’allusione coinvolgente.
Il genere è resistito nel tempo grazie alla sua plasticità – alla sua vocazione metamorfica – cito Paolo Lagazzi, riuscendo a trasmettere – ai nostri giorni – contenuti della contemporaneità – parlandoci di metropolitane, luci artificiali o ansie dell’uomo moderno, così come anticamente fu portavoce della sensibilità “cortese” – con i temi dell’amore, la natura, le galanterie, l’onore, la luna, i fiori di ciliegio –
Rispetto alla brevità lirica assoluta dell’haiku, il tanka propone – pur nella sua estensione limitata e compiuta – un’apertura al dialogo, ad una “quasi” narrazione , all’allusione di un racconto; per questa sua caratteristica a questo componimento venivano affidati, in origine, dei veri e propri “messaggi” – che venivano scambiati – in ambiente aristocratico vicino alla corte imperiale – tra amanti, amici, confidenti.
Venivano scritti su biglietti di carta pregiata, a volte “ornati”, con un fiore o un ramo fiorito, o legati ad un ventaglio, espressione di uno spirito estremamente raffinato.
Il poeta e critico Paolo Lagazzi, studioso e cultore di poesia giapponese si è affidato proprio a questa peculiarità del tanka di essere piccola formella – vaso – contenitore di dialogo – per proporre un esperimento di apertura e comunicazione tra due culture estremamente differenti come quella italiana e quella giapponese.
Egli ha invitato 25 poeti italiani a rispondere ad altrettanti poeti giapponesi contemporanei con queste liriche delicate, richiamandone i temi.
La traduzione speculare ha messo poi a confronto – e in dialogo – sentimenti e versi – sensibilità comuni e differenti.
Il risultato è una pubblicazione straordinariamente raffinata, dal titolo “Cinquanta foglie”, edita da Moretti & Vitali nel 2016, arricchita dalle tavole di due artiste, una giapponese e una italiana - Satoshi Hirose e Daniela Tomerini.
Bibliografia consultata:
Cento Haiku, scelti e tradotti da Irene Iarocci. Presentazione di Andrea Zanzotto. Guanda Editore, 1987.
Cinquanta foglie. Tanka giapponesi e italiani in dialogo. A cura di Paolo Lagazzi, Moretti & Vitali Editori, 2016.
Haiku. Il fiore della poesia giapponese da Bashō all’Ottocento. A cura di Elena Dal Pra, Mondadori Editore, 1998.
Un sasso nella mano. A pebble in my hand. 114 Haiku. Antologia Internazionale italiano-inglese. A cura di Pietro Tartamella, Edizioni Angolo Manzoni, 2008.
Sull’haiku, Yves Bonnefoy. Prefazione di Giangiorgio Pasqualotto. O barra O edizioni, 2015.
Sitografia:
FONTI: Carla Combatti, 18 Maggio 2017
HARU - PRIMAVERA
MATSUO BASHŌ (1644-1694)
Furu ike ya
Kawazu tobikomu
Mizu no oto
Nello specchio antico
d’acque morte
s’immerge
una rana.
Risveglio d’acqua
Kigo: kawazu (rana)
***
NATSU - ESTATE
CHIYOJO (1703-1775)
Hana sakanu
Mi wa kurui yoki
Yanagi kana
Simile a pianta che non ha più fiori,
ormai tronco, posso contorcermi.
- Salici piangenti –
Kigo: yanagi (salice piangente)
***
AKI – AUTUNNO
OZAKI HŌSAI (1885-1926)
Zakuro ga
Kuchi aketa
Tawaketa koi da
Un frutto di melograno,
bocca aperta che irride
quel mio insulso amore
Kigo: zakuro (melograno)
***
FUYU – INVERNO
NAITO JŌSŌ (1662-1704)
Minasoko wo
Mite kita kao no
Kogamo kana
“Ho visto il fondale dell’acqua
e rieccomi qua”,
sembra dire il musetto
di un anatroccolo
Kigo: kogamo (anatroccolo)
Da: Cento Haiku, scelti e tradotti da Irene Iarocci.
Presentazione di Andrea Zanzotto.
Guanda Editore, 1987.
TANKA
La mia ombra, scendendo
con calma per la scala,
tocca il suolo,
proietta
intorno tante curve.
Yasuo Kijma (da Il tuono, 1985)
Gira il sole. La casa
sta ferma ad aspettarlo.
Nel suo bacio
la pietra
ritorna guancia, carne.
Umberto Fiori, novembre 2015
***
Come fossero un mazzo
di asparagi,
le ragazzine stanno
nell’ascensore
a bocca chiusa.
Hiroshi Shino (da La città densa, 1992)
Duole il ramo
premono turgide gemme
sotto la scorza.
Si accalcano sul pesco
Le fanciulle in fiore.
Giancarlo Consonni
Da: Cinquanta foglie.
Tanka giapponesi e italiani in dialogo.
A cura di Paolo Lagazzi, Moretti & Vitali Editori, 2016.
FONTI: Wikipedia e Carla Combatti, 18 Maggio 2017
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